Bosco Profondo

Il viandante ripeteva tra sè e sè: ‘Se un gufo ti chiama, non rispondere, se un gatto nero ti si avvicina, allontanalo con un ramo di salice..’
Camminava lesto, finchè, in una valle lontana da qui, all’ombra di una roccia, comparve una figura: uno gnomo la cui espressione era burbera, ma il cui animo era pieno di slanci generosi. Il suo modo scontroso era un vezzo a cui non voleva rinunciare e, il viandante aveva l’impressione che gli occhi di quella singolare creatura lo seguissero ovunque andasse.

Tutt’intorno vi erano strani fiori e gemme dal profumo così soave che riempivano l’animo di una gioia che non seppe spiegarsi.
Lo gnomo pensava invece alla collera degli uomini, ma il profumo di quei fiori era così celestiale che altre parole gli vennero alle labbra e parlò dell’amore che importa più della saggezza, dell’armonia perfetta della terra e della volta celeste, e dell’incanto dei sogni esauditi.
‘Le mie storie sono vere’, disse, ‘mi sono state raccontate dalla vecchia quercia, dallo scoiattolo e dalla gazza ladra. Chiudi gli occhi.. Senti l’aria fresca accarezzarti il volto, annusa il profumo dell’imponente cedro, il verde terroso delle foglie di violetta e l’aroma pungente del cisto.’
Il viandante respirava tutti quei profumi e, mentre guardava la luce che saliva all’orizzonte, sentì alleggerirsi l’ingombrante bagaglio che portava sulle spalle.
Viaggiò trasportato dal raggio dell’ultimo sole, dalle gocce di rugiada e dall’aroma degli abeti.
Scorse una stradina luminosa dove danzavano miriadi di libellule e si sentì pieno di gioia, poichè sapeva bene che non a tutti i viandanti veniva concesso l’ingresso in quel sentiero.
Si guardò alle spalle un’ultima volta, ma lo gnomo era scomparso.
Entrò in Bosco Profondo.