“Non bisogna pensare che Ozymantis provenga da terre lontane. Il profumo parla dei boschi degli uomini, in massima parte, e solo un poco, di un volo notturno in compagnia di un’anima che ogni tanto viene a visitarmi.”
Durante la notte un’enorme luna piena aveva brillato, illuminando un insolito ranocchio con un cappello a cilindro. I rumori del bosco erano chiari di significati per lui, così come gli odori emanati dalla terra.
Era giunto a percepire la vera essenza della foresta: dal sole, dalla luce e dal vento, sapeva quali animali sarebbero comparsi e se le stagioni sarebbero state miti o crude.
In quei giorni terrestri, aveva annusato profumo di abete nella brina dell’aria mattutina, resina di benzoino nei tramonti di fuoco, bergamotto nei dolci pomeriggi d’ocra e si era impregnato dell’umore della terra scorgendo il misterioso muschio quercino.
Così aveva portato nell’animo e nella sua terra favolosa la magica combinazione odorosa..
Nel laboratorio architettato con raggi di luna, sogni, musica e miraggi aveva preso forma la sua creazione. Il suo cuore avvertiva ancora il fremito di vita dei fiori terrestri, nel loro sbocciare e sfiorire, sentiva il silenzio dei cieli al crepuscolo, vedeva le foglie d’autunno danzare nell’aria profumata di resine..
“Non posseggo che una formula per dare vita all’intreccio delle emozioni del mio cuore..”
Le parole della formula avevano il suono di un’orchestra di mille violini nascosta nel folto di un bosco, a mezzanotte di una notte d’autunno, con uno strano chiarore lunare, come se ridestasse tutte le cose che vanno oltre l’umana saggezza.
E così, come una luce baluginante tra un lontano passato e un confuso orizzonte futuro, lasciò il suo ricordo Ozymantis.