Dèi e Profumi nell’Antica Grecia

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“Molte corone di rose e viole…accanto a me cingesti..” (Saffo)
Mai altra civiltà concepì le proprie divinità così a misura d’uomo come quella della Grecia Antica.
Il palcoscenico dell’Olimpo esibì, con la personificazione delle divinità, l’intera gamma delle passioni. Odi e amori, ire e vendette, raggiri, gioie e dolori, capricci e intrighi, sempre innaffiati da copiose libagioni, si avvicendano come in una giostra vorticosa di affannosi andirivieni tra cielo e terra.
Era inevitabile che tanto amore per i piaceri terrestri si manifestasse in altrettanta passione per essenze e balsami.

I poeti, da Omero a Saffo erano ben consci dell’aspetto metafisico della natura e della sua forza, della magia delle piante e del potere di seduzione che si sprigiona attraverso il profumo. Nei loro versi questa magia viene spesso e, magnificamente celebrata.
Colei che meglio di ogni altra incarna l’eterno femminino è la dea Afrodite, sorta dalla spuma del mare cavalcando una conchiglia nelle acque di Citera.
Dea dell’amore e dell’eros, era assistita da ninfe nel rituale della seduzione: il bagno, la toilette, la vestizione e la profumazione.
Come lei, le donne greche, raffinate e sensibili, usavano oli aromatici in gran quantità, spesso scegliendo un profumo diverso per ogni parte del corpo, come la rosa per i polsi, la menta per le braccia e la maggiorana per il capo.

Una piccola “alabastroteca”, grazioso scrigno colmo di vasetti per balsami e pomate odorose, non mancava mai nella toilette di una donna ateniese di classe.
I profumi si basavano su una sapiente mescolanza di sostanze liquide e solide: immergendo gli “aromata” (fiori, foglie, radici..) in oli vegetali come quello di mandorle, sesamo, balanos e spremendone il succo, si preparavano unguento di rose, di maggiorana, di giglio, di narciso, di iris, di nardo.
Inoltre, per dare la giusta consistenza al profumo, si consigliava di diluire l’unguento con acqua, vino o miele.

I Greci, maestri di cultura e pensiero, riuscirono sempre a conciliare le gioie dell’intelletto con i piaceri del palato e dell’olfatto.
Raggiunsero una perfetta fusione tra queste esigenze sublimandole in conviti, come ci illustra il raffinato banchetto descritto da Ateneo: “La cena dei sofisti”. Qui, per tre giorni consecutivi, i dotti ospiti dissertano sul vino, sui profumi e sulla cucina prendendo spunto da cibi e bevande.
Apprendiamo in tal modo che il vino più apprezzato era aromatizzato al mirto o alla rosa e che i fumi dell’ebbrezza potevano essere dissolti cingendo le tempie con una ghirlanda di erbe e fiori, come il mirto e l’alloro.
Oggi possiamo fantasticare riguardo questi preziosi ricordi olfattivi, ammirando i bellissimi vasi in terra smaltata o argilla con le delicate forme di animali, piante o fanciulle che un tempo contenevano i raffinati profumi degli dèi.